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Francesco Fernandi, detto l’Imperiali (Milano 1679 – Roma 1740)

L’eroe Rinaldo abbandona Armida

Francesco Fernandi, detto l’Imperiali
(Milano 1679 – Roma 1740)
L’eroe Rinaldo abbandona Armida, salendo sulla barca condotta dalla Fortuna

cm. 76 x 101
con importante cornice in legno laccato a finto marmo e dorato cm. 104 x 120

Expertise e studio del Prof. Giancarlo Sestieri, Roma

D21-004 Venduto richiedi informazioni

La pregevole tela in esame è ascrivibile alla produzione di Francesco Fernandi detto l’Imperiali (Milano 1679 – Roma 1740), dal nome del suo protettore e mecenate, l’omonimo cardinale Giuseppe Renato Imperiali, eminente collezionista del tempo, fornendo un significativo contributo al suo catalogo.

Vi è raffigurato un episodio del poema eroico la ‘Gerusalemme liberata’ di Torquato Tasso, descritto nel XVI canto del poema, che pone l’attenzione sull’episodio, ricco di pathos, dell’eroe Rinaldo che abbandona la bella e crudele maga Armida, alla quale era stato legato da un incantesimo d’amore, divenuto poi però reciproco.

Nella tela vediamo raffigurato l’aitante guerriero che, sollecitato e protetto dai due suoi fedeli compagni, Ubaldo e Carlo, si appresta lasciare l'Isola della Fortuna e salpare su una barca, simbolicamente affidata alle mani della Fortuna, personificata da un’affascinante ragazza che tiene un lungo remo. Sulla sinistra Armida, con tutta la sua avvenenza, in una posizione seducente forse per trattenere il suo amato, che però ne contempla malinconica l’abbandono. Sopra di lei, Cupido si allontana in volo, come ad alludere alla fine del loro amore.

L’Imperiali ebbe un ruolo fondamentale nel processo di emancipazione della pittura romana dall’eredità barocca, in direzione neoclassica che, tra la fine del Seicento e la metà del secolo successivo, conobbe il suo momento di massimo fulgore, favorito dal fenomeno del Grand Tour. Non a caso i suoi maggiori mecenati furono aristocratici britannici e gran parte delle sue opere da quadreria si trovano in collezioni scozzesi, inglesi ed estere o sono transitate sul mercato antiquario londinese.

Secondo lo studio del Sestieri questo dipinto si ascriverebbe ai primi anni romani del Fernandi, avendo conservato una verve di timbro barocco, ancora non decantata dalla sua abituale più pacata e riflessiva impronta espositiva.

La sua carriera romana si allineò tendenzialmente con i nuovi canoni estetici imposti dal Maratti, ma con inventive più intimistiche, e con un’angolazione interpretativa più sottile, esercitando un’importante ruolo di tramite tra il tardo barocchetto e le precoci anticipazioni al neoclassico della pittura romana.

La pittura del Fernandi, seppur pur d’impronta marattesca, fu nel contempo alimentata dall’ascendente del Poussin, traendone un gusto francesizzante, permettendogli appunto di riscuotere il successo soprattutto presso committenti inglesi, clientela che trasmise poi al giovane Batoni, suo promettente allievo.

Tuttavia anche se questo dipinto appare in parte divergere dal suo essenziale temperamento, in esso sono rilevabili stringenti concordanze con figure e particolari estrapolabili in diversi suoi dipinti. Ad esempio, per quanto concerne i guerrieri, all’”Ettore che lascia Andromaca” già in collezione Lemme, alla “Liberalità di Alessandro Magno” già sul mercato antiquario; e per la figura di Armida al “Tobia dinanzi al Padre” del Palazzo Reale di Torino; ed ancora per il Cupido che si allontana in volo alla pala nella chiesa di S. Andrea a Vetralla. Infine i panneggiamenti, in particolare quello della Fortuna rematrice, trovano perfette assonanze in vari suoi quadri, tra cui la figura di Tobia nel citato dipinto di Torino.

Una paternità a cui si può risalire pertinentemente dall’analisi stilistica, unitamente a quella strettamente pittorica, del quadro, trovando conferma in vari convincenti riscontri con sue opere di sicura autografia. Mi riferisco, ad esempio, alle due versioni di “Eliezer e Rebecca al pozzo” e alla “Erminia che incide sul tronco il nome di Tancredi”, Pubblicate dallo stesso Sestieri nel Repertorio della Pittura Romana della fine del Seicento e del Settecento, dallo stesso curato (Allemandi ed., Torino 1994, II, figg. 386-87 e 389), in cui è stesa pure una breve introduzione su questo versatile pittore.

L'opera è presentata con una stato di conservazione molto buono, completata da una pregevole cornice in legno laccato a fino marmo e dorato, con fregio a conchiglia nella parte superiore.

Dipinto completo di certificato di autenticità a norma di legge.
Per qualsiasi informazione, non esitate a contattarci.
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